sabato 1 ottobre 2011

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E si forma un nodo. Tra mani e vene. E a volte cuore. E labbra. Il detto ed il non detto si sovrappongono. Sotto il palato e hanno il sapore amaro del risveglio improvviso. Del veleno dei sogni. Ancora prima di infrangersi. Più deformante del vapore di un bagno caldo. L'aurea del contatto impiccato. Lo sguardo contro il soffitto a lisciarlo. Poi ci penso. E mi pento. "Assolvimi piccolo demone bastardo". E tutto passa e ci passa. Voglio dimenticare. E lasciarmi scorrere tutto. Assolvimi, sono pentita. Quasi santa. E tu sei fatto di bene. E dovresti capire. Un tempo sono stata una donna. E prima ancora una bambina. Sono nata con tanta luna, dentro. E non riesco a liberarmene. Di tutto questo senso del dolore. E non fa male davvero. Anche se dovrebbe. Ho guardato così tanto le stelle, così tanto da renderle mute. Non è per puntualizzare, perchè adesso io vorrei solo cancellare. E cancellarmi le mani. E restare immobile ad annusare l'aria. Prima della pioggia. Ma sento che per farlo, devo urlare, devo svuotarmi da ogni ombra e dal suo suono. Quello che chiarisce e quasi fulmina è un attimo inatteso. Un rigurgito della mente. La luce vitrea della delusione. Infilza e tu devi liberartene. Come un ago intorno al cuore. Punge all'improvviso e non ti resta altro che vivere. Era tutto comprensibile. Ma hai chiuso gli occhi per correre più del vento, dimenticando che avevi la carne. Un corpo che ti impediva di non esistere. Di non lasciare segni. E di non prenderne. Si sottovaluta sempre il dolore. O lo si sopravvaluta. E si vive proteggendosi. Da fantasmi e dalle loro lenzuola. Quando ci avviciniamo a qualcuno si scontrano, in fondo, folle, di fantasmi esausti. In una battaglia senza possibilità di vittoria. Per nessuno. Senza santi o peccatori. Fantasmi che rivendicano il loro posto e si raccontano. Perchè raccontarsi è solo un modo per lasciarsi ricordare. Nel gioco perverso del non volersi lasciare dimenticare. Fantasmi che si fanno la guerra e l'amore addosso. Con le loro voci e le loro ombre. E tutta la forza di cui sono capaci. Violenta ed indifferente. E pezzi di cuore, come foglie di alberi, dai tronchi mozzi. Vorrei imparare a non avere più paura dell'oblio. E a non sentirmi indegna per aver amato troppo o poco. A smettere di toccarmi il cuore. A restare in superficie. E ad accarezzarmi le mani. E' quello che mi fa tornare indietro e tentare di dare la forma giusta al mio cuore. Senza riuscire ad andare oltre. Un ponte o un saltello. O solo il fiume del ricordo. E si forma un nodo. Vorrei sapervi dire quanto fa male. Nè donna nè bambina, nè demone nè angelo. Solo un nodo teneramente e ferocemente supplice.

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